I designer devono saper programmare?
In questa puntata del podcast Conversations tratteremo il ruolo del designer e di quali competenze orizzontali dovrebbe conoscere quando si trova a prototipare un oggetto interattivo. Il nostro ospite sará Ubi de Feo, Hybrid Designer presso Arduino, piattaforma ideata e sviluppata da alcuni membri dell'Interaction Design Institute di Ivrea per creare uno strumento per la prototipazione rapida.
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Come si relazionano i due mondi?
Ubi de Feo: Ho iniziato come programmatore e, successivamente, sono diventato anche designer. Ho sentito il dovere di trovare il punto di intersezione tra le due discipline quando mi sono affacciato la prima volta al mondo del web design. Qui ho capito che le due cose sono complementari, strettamente correlate.
Fabio Franchino: Io ho avuto un percorso differente, ho studiato Visual Design e, nel tempo, mi sono approcciato al coding da autodidatta. Durante le mie lezioni ai designers, cerco di far capire loro quanto il mondo del coding sia accessibile, ovviamente a differenti livelli. Il valore è cognitivo, progettuale e mentale. Ampliare la propria conoscenza permette inoltre di riuscire a vedere il progetto da differenti punti di vista.
Ubi de Feo: Molto probabilmente ci ispiriamo agli stessi Interaction Designer che hanno avuto un impatto forte e ci hanno guidato nel costruire un ponte tra ciò che è estremamente tecnico e esperienzialmente piacevole.
Andrea Pinchi: Acquisendo la capacità di un linguaggio nuovo, si riesce a ragionare tramite quel modo nuovo.
Ubi de Feo: L’encoding non è solamente la programmazione legata al computer, ma è la codifica di messaggi, come ad esempio il segnale morse o i segnali di fumo.
Esiste un preconcetto nei confronti del codice?
Fabio Franchino: Sicuramente esiste un preconcetto poiché il coding è sempre stato insegnano in luoghi tendenzialmente molto tecnici. Solitamente, quando inizio un corso con persone che non sono programmatori, vedo come tutti siano impauriti dall’argomento. Mettere in chiaro subito le aspettative ed un approccio molto soft, possono essere due approcci per sradicare questo preconcetto.
Ubi de Feo: Io ho fatto dei workshop pilota di programmazione con lo scopo di creare le fondamenta di programmazione base per portare le persone a non avere difficoltà nella programmazione in C. Tutto il workshop è tenuto in modo teatrale e step-by-step. Codificare le informazioni in modo ludico e non accademico. Tutto questo per riuscire a cambiare il punto di vista rispetto al coding.
Quale sarebbe l’approccio migliore al coding?
Andrea Pinchi: Per riuscire a costruire delle cose che funzionino davvero, bisogna sapere come siano fatte. Avere il coraggio di aprire il cofano e capire cosa ci sia dietro, non per sapere costruire ma per interpretare il loro linguaggio. Abbiamo imparato il codice perché volevamo vedere le nostre idee realizzate e questo ci ha messo in uno stato di autoapprendimento.
Ubi de Feo: Io non devo insegnare a programmare, devo essere un mentore e riuscire a farti innamorare così tanto delle macchine da voler parlare la loro lingua.
Come ci si potrebbe avvicinare al coding?
Ubi de Feo: Java Script ti dà la possibilità di scrivere codice senza infrastruttura. Si inizia da lì, per poi spostarsi su altri linguaggi più complessi.
Fabio Franchino: Ci vuole un po’ di impegno, volontà e curiosità perché se non c’è nessuno che ti guida, diventa molto più complicato.
Come potrebbe venirci in aiuto il no-code?
Andrea Pinchi: Tanti designers, proprio grazie a questi strumenti di no-code, riescono ad approcciarsi a sistemi logici senza scontrarsi con lo scoglio dello scrivere codice, gestire delle relazioni in un database senza programmare ed avere un prototipo funzionante.